Esistono innumerevoli libri su come acquistare azioni o strumenti finanziari, ma quasi nessuno che spieghi quando venderli. Eppure è una delle domande più frequenti, soprattutto dopo la corsa dei mercati degli ultimi due anni.
Vedere performance a doppia cifra, e in alcuni casi anche superiori al 100%, è bellissimo. Ma subito dopo arriva la domanda: “Forse è meglio vendere, prima che scenda?”.
È proprio qui che la strategia “buy & hold” — comprare e mantenere — mostra la sua difficoltà.
Sulla carta sembra semplice, ma nella pratica è una delle cose più difficili da fare. Guadagni rapidi e correzioni improvvise possono mettere in discussione anche le convinzioni più solide di un investitore.
Quindi, come comportarsi?
Strategia “buy & hold”, in cosa consiste?
Prima di tutto, cerchiamo di capire quali possono essere i limiti legati a una strategia “buy & hold”.
L’approccio è a lungo termine, dunque si investe su strumenti finanziari, come azioni o fondi attivi e passivi, con l’intenzione di mantenerli in portafoglio per periodi prolungati, spesso anni o decenni.
Chi adotta questa strategia decide di ignorare le fluttuazioni di mercato nel breve periodo, confidando nella crescita del valore degli asset nel tempo.
In pratica, ci si basa sulla convinzione che i mercati finanziari tendano a crescere nel lungo termine, nonostante le inevitabili oscillazioni.
I vantaggi sono innegabili:
- minori costi di transazione
- riduzione dello stress legato al trading frequente
- benefici fiscali derivanti dalla detenzione prolungata degli investimenti.
Tuttavia, dobbiamo evidenziare alcuni limiti: questa strategia, infatti, richiede notevole disciplina emotiva per resistere durante prolungati periodi di ribasso dei mercati.
Inoltre, non va dimenticato che l’approccio passivo può anche far perdere opportunità di ribilanciamento del portafoglio o di uscita tempestiva da investimenti deteriorati, esponendoti a perdite permanenti di capitale.
Investimenti: ribilanciare o lasciar correre?
L’idea di porre limiti alle dimensioni di alcune posizioni nel portafoglio ha molto senso: ti obbliga a ribilanciare quando una posizione cresce troppo o diventa marginale.
Se hai stabilito che un determinato strumento deve pesare, ad esempio, per il 40% del portafoglio, sarà utile ogni 3-6 mesi riportarlo a quel peso, vendendo o comprando per mantenere l’equilibrio.
Ma, come sempre, c’è un rovescio della medaglia. Peter Lynch, uno dei gestori più celebri della storia, diceva: “Vendere gli strumenti vincenti e tenere quelli perdenti è come tagliare i fiori e annaffiare le erbacce.” E aveva le sue ragioni.
Il ribilanciamento, infatti, può ridurre l’efficienza fiscale (per via delle tasse sulle plusvalenze) e interrompere il meccanismo dell’interesse composto, che lavora al meglio proprio nel tempo.
Quando vendere gli investimenti?
Vendere non è una scienza esatta, è bene chiarirlo fin dall’inizio.
Si potrebbe dire che è meglio vendere quando un titolo diventa “troppo caro”, ma cosa significa davvero “troppo caro”? Secondo quali parametri, rispetto a chi?
Ci sono molti modi per decidere quando vendere:
- fare trading di breve periodo
- cercare solo dividendi costanti
- guardare gli indicatori tecnici
- investire solo in base alle valutazioni
- comprare e mantenere nel lungo termine.
Ognuno sceglie l’approccio che più lo rappresenta, ma, in generale, l’idea è che un investimento pensato per il lungo periodo non diventi improvvisamente una speculazione di breve solo perché il mercato è salito. A meno che il guadagno non sia davvero eccezionale — e anche in quel caso, la decisione andrebbe ponderata.
Disinvestire: come individuare il momento giusto?
Per capire se anche per il tuo investimento è arrivato il momento di essere venduto, puoi farti una domanda, semplice ma essenziale per chiarirti le idee. Chiediti: “Perché ho comprato quello strumento?”
Sembra banale, ma è tutto qui:
- è stata una speculazione o un investimento?
- Avevi un obiettivo di rendimento o di tempo?
- Cosa ti farebbe cambiare idea sulla validità dell’investimento?
- Qual è il tuo orizzonte temporale?
Chi ha già risposto a queste domande prima di investire, troverà anche più facile decidere quando vendere.
Chi non l’ha fatto rischia, invece, di prendere decisioni emotive — guidate dalla paura o dall’euforia — e di compromettere il piano.
Come stabilire la vendita di investimenti?
Vendere richiede disciplina, non impulsività: senza un metodo, si rischia di navigare a vista, come una nave senza timone.
Si potrebbe decidere di vendere quando cambia la tesi d’investimento, ma per farlo bisogna averla definita chiaramente fin dall’inizio. Ecco perché sapere quando vendere è più un’arte che una scienza.
La chiave è (ancora una volta) la pianificazione.
Il modo migliore per evitare scelte impulsive è definire in anticipo cosa vuoi ottenere da un investimento: rendimento, reddito, protezione, diversificazione.
Solo così saprai quando un obiettivo è stato raggiunto e se ha senso vendere.
Come sempre, la pianificazione e la disciplina restano le migliori difese dell’investitore. Sono loro che ti permettono di restare fedele al piano, anche quando il mercato — o il guadagno momentaneo — ti invita a fare il contrario.
Disinvestire: un consiglio pratico
Quanto visto fino a ora potrebbe risultare ancora più complesso. Prova a pensare di avere singole azioni e dover valutare di disinvestire…
Ecco perché, oltre alle già citate pianificazione e disciplina, consiglio sempre di preferire strumenti diversificati come gli ETF, che riducono il rischio specifico.
In questo modo, potrai impostare fin dall’inizio il tuo portafoglio in maniera equilibrata e facilitare anche la fase di disinvestimento.
È vero, nessuno è mai andato in rovina portando a casa un profitto. Ma — e questa è la parte che pochi ricordano — nessuno è mai diventato ricco vendendo troppo presto.



