Se c’è una cosa in cui il mercato azionario è bravo, è renderci irrequieti: quando i prezzi salgono, ci preoccupiamo di esserci persi qualcosa di buono; quando i prezzi scendono, temiamo di perdere tutto. E quando i prezzi non fanno niente, diventiamo impazienti, chiedendoci se dovremmo fare qualcosa.

Questa oscillazione costante tra paura, avidità e noia crea un disagio fastidioso che ci dice che non dovremmo sederci e guardare e che sarebbe meglio agire per avere la sensazione di controllare ciò che sta accadendo.

Negli investimenti, tuttavia, l’impulso ad agire è ciò che spesso porta a decisioni sbagliate

Il nostro istinto di intervenire al minimo segno di disagio non è sempre radicato nella logica, ma in qualcosa di molto più antico e profondo dentro di noi. Vediamo di cosa si tratta.

Action bias e finanza: cosa accade?

La tendenza di cui abbiamo appena parlato viene detta Action Bias, ed è proprio l’impulso a compiere un’azione anche quando è inutile o, peggio, dannosa. Si tratta di un riflesso plasmato da migliaia di anni di istinti di sopravvivenza.

Negli ambienti incerti in cui vivevano i nostri antenati, infatti, l’esitazione spesso significava pericolo: di fronte a un fruscio tra i cespugli, meglio scappare che aspettare di verificare che si trattasse di un predatore. 

Ma ciò che un tempo ci teneva in vita può ritorcersi contro di noi nel mondo moderno; in particolar modo negli investimenti, dove il successo è spesso determinato non da quanto si fa, ma da quante azioni inutili si evitano.

Spinti dall’emozione e non dalla ragione, anche negli investimenti, tendiamo ad agire senza necessità e l’impulsività può portare a decisioni sbagliate, costi inutili e sottoperformance a lungo termine.

Action bias: un esempio

Un esempio di action bias arriva dal mio amato calcio. È provato, a livello statistico, che i portieri hanno maggiori probabilità di parare il rigore restando al centro della porta piuttosto che tuffandosi. 

Eppure, i portieri si tuffano a sinistra o a destra quasi ogni volta. Perché? Perché un gol segnato suscita sensazioni peggiori nel portiere dopo l’inazione (restando al centro) che dopo l’azione (saltando). 

Sembra che non ci stiano provando. E nessuno vuole dare l’impressione di non provarci, anche quando statisticamente non fare nulla è meglio.

Gli investitori affrontano lo stesso dilemma ogni giorno: tipo quando i mercati sono volatili e non fare nulla sembra irresponsabile, oltre che difficile. Molto spesso, tuttavia, non fare nulla è proprio ciò che richiede un investimento saggio.

Gli effetti dannosi dell’action bias

Dunque, anche quando la situazione richiederebbe riflessione o inattività, l’action bias ci spinge ad agire. Questo fenomeno, soprattutto in contesti decisionali critici come gli investimenti, pur essendo spesso motivato da buone intenzioni, può generare effetti dannosi significativi:

  • decisioni impulsive e inefficaci che mancano di un’adeguata analisi delle conseguenze
  • spreco di risorse come tempo, energia e denaro investiti in azioni non necessarie o controproducenti
  • peggioramento delle situazioni inizialmente stabili a causa di interventi errati. 

In finanza, è possibile sperimentare due situazioni precise, come conseguenza di questa tendenza psicologica, ovvero l’istinto alla vendita e l’overtrading. 

Bias d’azione e istinto di vendita

Una manifestazione del bias d’azione è l’istinto a vendere durante le flessioni del mercato. Quando il mercato crolla, il cervello evolutivo urla: “Taglia le perdite! Fai qualcosa!”

L’istinto di vendita si manifesta quando un investitore, sopraffatto dalle oscillazioni di mercato, teme di subire perdite e decide di liquidare i suoi asset; con la conseguenza di ignorare il potenziale di guadagno a lungo termine e ritrovarsi a confrontarsi con situazioni tipo:

  • vendita a un prezzo basso e perdita di una futura ripresa di valore
  • spese superflue per commissioni di vendita e di riacquisto
  • interruzione della strategia di lungo termine, compromettendo il rendimento complessivo. 

Il pregiudizio dell’azione si nutre di paura. Ci convince che fare qualcosa, anche la cosa sbagliata, è meglio che starsene seduti con le mani in mano. Ma negli investimenti, un’azione prematura può trasformare perdite temporanee sulla carta in danni finanziari permanenti.


Cos’è l’overtrading?

L’overtrading, nel contesto finanziario, si riferisce a un’eccessiva attività di trading da parte di un investitore o di un’azienda. Si tratta di un fenomeno che si verifica quando si effettuano transazioni in maniera troppo frequente, spesso guidati dall’emozione o dal desiderio di ottenere guadagni rapidi.

Al contrario delle aspettative, può portare a costi di transazione elevati, decisioni impulsive e una gestione inefficace delle risorse, riducendo così i margini di profitto complessivi.

Riconoscere e gestire l’overtrading è essenziale per mantenere una strategia di investimento disciplinata e sostenibile.


Overtrading: qual è il pericolo per gli investimenti?

La convinzione che il monitoraggio costante, la modifica e il rimescolamento del portafoglio migliorino le performance è profondamente seducente e… profondamente falsa. La ricerca accademica lo conferma.

Moltissimi studi dimostrano che i trader più attivi hanno avuto performance significativamente inferiori sia al mercato che ai loro pari meno attivi. In particolare, il trader attivo medio ha avuto performance inferiori del 6,5% annuo rispetto a una semplice strategia buy-and-hold.

Una tale sottoperformance è il risultato diretto di un trading eccessivo, ovvero di acquisti e vendite basati su emozioni, previsioni a breve termine o pura abitudine. Ogni trade comporta costi di transazione, tasse e, cosa più importante, errori.

Eppure le persone continuano a fare trading, nonostante queste prove, perché non facendo nulla sembra di perdere il controllo. L’attività crea una confortante illusione di controllo.

La soluzione, per evitare tutto questo, è sviluppare regole e metodi che impediscano alle emozioni di prendere il sopravvento nelle decisioni finanziarie.